Clara Cerri – Le notti della Pantera


Incipit del racconto

C'ero anch'io, tra quelli che occuparono l'Università di Roma nel 1990, quelli della Pantera. Non avrei dovuto perché ero già fuori corso e avevo tutto da perdere e niente da guadagnare ma avevo le mie strane ragioni: un misto di ribellione, la prima della mia vita, e la voglia di tenere aperta la biblioteca di Studi Orientali perché io e gli altri potessimo continuare a studiare. Occupavo di giorno; in facoltà non ci ho mai dormito, come faceva Sergio, per esempio, che aveva più o meno la mia età.
Tre anni dopo, un giorno che il discorso andò a finire sul movimento, chiesi a Sergio di raccontarmi qualcosa di quelle notti.
«Non avevate paura, a stare in quattro gatti in quei corridoi enormi? Tenevate le luci accese? Li sentivate quelli che facevano l'amore? Come facevate a stare senza lavarvi?»
Ero petulante, sì. Non mi pareva vero di aver trovato un argomento diverso dalle mie ultime disgrazie, su cui lo avevo appena aggiornato davanti a un cappuccino.
Sergio si mise a ridere.
«Oh, io mi lavavo... nel lavello di quel bagno orribile che c'era al nostro piano, ti ricordi? Mi sporgevo un po' così...» E alzò la gamba nella pantomima di un bidet di fortuna. «Non ti dico che gelo!»
Risi anch'io. Quel bagno non esisteva più, dopo avevano fatto i lavori. Ma il vecchio istituto ce l'avevo ancora stampato nella testa: era il nostro mondo in miniatura, con solo una biblioteca, un'auletta centrale per tutti i corsi e un'aula di Egittologia, materia cosiddetta popolare che arrivava a vedere anche a trenta studenti a lezione. Il corridoio su cui si apriva, dal soffitto alto, finiva mutilo di fronte a una grande porta a vetri smerigliati, l'istituto di Studi Slavi. Accostati al muro, sotto ai finestroni, due tavoli dove aspettavamo tra una lezione e l'altra, parlando e fumando.

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