<i><b>Black Mirror</b></i> è una serie televisiva che analizza le potenziali distorsioni del progresso tecnologico; immaginando futuri più o meno lontani, ogni puntata ci mostra quanto certi timori non siano infondati. C’è spazio per realtà alternative e aumentate, scenari distopici e scontri spaziali, internet e social media, sistemi innovativi di <i>parental control</i> e gestioni automatizzate delle relazioni.
<i>Black Mirror</i> è anche satira sociale, condita con un citazionismo nostalgico e sfacciata autoreferenzialità (alcuni episodi, seppur autoconclusivi, rimandano l’uno all’altro: per esempio <i>Black Museum</i>, l’ultimo della quarta stagione, è una vera e propria autocelebrazione).
La serie TV ha avuto un enorme successo: diversi registi si sono avvicendati alla direzione degli episodi (come Jodie Foster, Toby Haynes, Tim Van Patten) e <i>San Junipero</i> della terza stagione ha vinto l’Emmy Award del 2017 come miglior film per la televisione.
<i>Black Mirror</i> ha attivato un meccanismo che di solito funziona al contrario: due anni fa la <i>Penguin Random House</i> ha acquistato i diritti per pubblicare tre libri ispirati alla serie TV, tre raccolte originali di racconti di scrittori contemporanei. Il primo, in uscita a marzo del 2019, è <i>Black Mirror: A Literary Season: 1</i>, editato da Charlie Brooker e pubblicato dalla casa editrice Del Rey Books.
Brooker, ideatore e produttore della serie, ha dichiarato alla rivista <i>Rolling Stones</i> che la preveggenza attribuita a <i>Black Mirror</i> è un fenomeno accidentale. Quando il team si riunisce per scrivere un nuovo episodio, l’obiettivo principale non è indovinare il futuro, ma ragionare a partire dalla classica domanda: «<i>what if</i>, cosa accadrebbe se…». Nella stessa intervista, Annabel Jones, produttrice esecutiva, spiega che l’intento narrativo è cambiato stagione dopo stagione: il successo dell’episodio <i>San Junipero</i> ha mostrato che Black Mirror «non doveva essere necessariamente distopico e triste, ma poteva stimolare il pensiero, essere avvincente e toccare più generi.»
Ambientato nel 1984, <i><b>Bandersnatch</b></i> è considerato un episodio indipendente, anche se è in linea con i temi e lo stile della programmazione ordinaria. È la storia di Stefan Butler (interpretato da Fionn Whitehead) un giovane programmatore che sta progettando un videogioco interattivo basato sull’omonimo <i>librogame</i> fantasy del visionario Jerome F. Davies. Stefan propone la demo del gioco alla Tuckersoft, la compagnia in cui lavora un famoso programmatore, Colin Ritman (Will Poulter).
Il titolo del film è preso da un videogioco della Imagine Software che avrebbe dovuto avere lo stesso nome, ma non è stato mai realizzato perché la società fallì prima del lancio. <i>Bandersnatch</i> è anche una creatura immaginaria di Lewis Carroll che compare in <i>Jabberwocky</i>, una poesia nonsense del 1871 nel romanzo <i>Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò</i> («Beware the Jabberwock, my son! / The jaws that bite, the claws that catch! / Beware the Jubjub bird, and shun / The frumious Bandersnatch!), e in <i>La caccia allo Snark</i> (1874).
<i>Bandersnatch</i> comincia con un breve tutorial che spiega allo spettatore che dovrà effettuare delle scelte alternative (sì o no, rifiuta o accetta, Sugar Puffs o Frosties?); scelte che si muovono in un range d’importanza abbastanza ampio e che influiranno sulla trama. Impugnando lo scettro del potere, il telecomando, Netflix ci promette che saremo noi a decidere il tipo di storia che guarderemo.
Le narrazioni interattive non sono nuove: tralasciando antenati e ibridi, i <i>librogame</i> si diffusero negli anni Settanta. La prima storia a bivi di Topolino è apparsa nel Novembre del 1985, con una scritta in copertina che urlava all’innovazione: «Una storia sei finali! Per la prima volta al mondo!».
Il primo film interattivo è stato <i>Kinoautomat</i>, una commedia nera ideata da Radúz Činčera per il padiglione cecoslovacco all’Expo del 1967 di Montreal. John Hurt ha realizzato un thriller erotico interattivo, <i>Tender Loving Care</i>, quasi 20 anni fa.
Anche la letteratura più alta non fa eccezione, e le sperimentazioni vanno da un primordiale <i>Il giardino dei sentieri che si biforcano</i> (1941) fino a <i>Il gioco del mondo</i> di Julio Cortázar (1963).
Nel 1971 Gianni Rodari pubblicava <i>Tante storie per giocare</i>, racconti per bambini con finale a scelta, e nel 1976 usciva <i>Sugarcane Island</i> di Edward Packard: scritto nel 1969, era un classico racconto interattivo; alla fine di ogni paragrafo il lettore poteva decidere le sorti della storia.
I videogiochi hanno saputo sfruttare al meglio le potenzialità delle narrazioni interattive, per la loro stessa natura, la composizione del pubblico di riferimento e il tipo d’intrattenimento richiesto. Un esempio di gioco interattivo è <i>Dragon’s Lair</i>.
A prescindere dal supporto, l’idea alla base dell’interattività sta nell’azzerare la distanza tra la storia e lo spettatore, mettendo quest’ultimo al posto di comando per offrire un’esperienza più coinvolgente. L’utente, elevato al ruolo di demiurgo, si sente autore dell’avventura che il suo protagonista affronterà. Già lo scorso anno, Netflix ha mostrato interesse per questo tipo di storie, pubblicando un episodio a scelte alternative del <i>Gatto con gli stivali</i>. Ma i temi affrontati da <i>Black Mirror</i> sembravano essere terreno fertile per un progetto più complesso. Se la risposta a <i>Bandersnatch</i> sarà entusiastica, dice David Streitfeld dalle pagine del <i>New York Times</i>, potrebbe cominciare una nuova epoca per la narrazione; televisiva, seriale, ma non solo.
Io ho “giocato” a Bandersnatch per due ore, quindi le mie impressioni sono frutto di un’esperienza diretta limitata. Prima di scrivere l’articolo ho effettuato alcune ricerche perciò non dovrebbero esserci grosse inesattezze, ma l’alone di mistero sui risvolti di <i>Bandersnatch</i> è parte integrante della strategia di marketing cotruita intorno al film. Lo stesso Brooker ha insistito con il <i>The Hollywood Reporter</i> che lui e Annabel Jones non sono arrivati a stabilire un numero preciso di finali possibili: «Non ci siamo mai seduti per contarli.»
Netflix ha dichiarato che esistono cinque finali principali, Wired.it ne ha individuati otto. A seconda delle scelte effettuate, un percorso può durare tra 40 ai 90 minuti. Pare che, complessivamente, il film si assesti sulle cinque ore di riprese. La struttura di <i>Bandersnatch</i> prevede tre livelli di scelta, che si distinguono in base al tipo d’impatto sul percorso: ininfluente, limitata (in grado di cambiare un piccolo dettaglio che però non incide sulla trama) e decisiva. Ogni decisione lascia dietro di sé una catena di ricordi, costituita dalle scelte che abbiamo effettuato e capace di condizionare i segmenti che vedremo. Questo vuol dire che due spettatori che hanno preso quasi le stesse decisioni avranno un “passato” leggermente diverso e potranno trovarsi a vivere due futuri alternativi. Almeno così pare, ma questa ipotesi non è stata ancora verificata.
<p style="color:red"><i>Warning: questo segmento presenta un tasso elevato di spoiler.</i></p>
Sebbene Stuart Heritage, giornalista del <i>The Guardian</i>, si sia riferito a <i>Bandersnatch</i> come “a masterpiece of sophistication”, il risultato non ha convinto tutti. I più delusi sono i fan storici della serie TV, che non hanno ritrovato nel filone principale del film l’inventiva degli episodi più efficaci delle precedenti stagioni. Parlo di filone principale perché, nonostante la sponsorizzazione di mille e più combinazioni, nonostante la previsione di percorsi multipli, esiste un finale più significativo degli altri. In teoria, la narrazione ramificata consente agli spettatori di scegliere il tono del film: dalla soluzione splatter al complotto governativo, dal fallimento della compagnia al successo del gioco. In pratica, gli autori hanno previsto una trama specifica, qualche falsa conclusione e diversi vicoli ciechi.
La prima scelta decisiva avviene dopo due richieste, una ininfluente e l’altra limitata: siamo chiamati a decidere se accettare o meno la proposta di lavoro del capo della Tuckersoft. Se l’accettiamo, scopriremo che si tratta di un errore: il collega Colin Ritman ci darà una pacca sulla spalla dicendo «Percorso sbagliato». La scelta ci porta a un finale-non finale: a questo punto possiamo ricominciare o andare ai titoli di coda.
Un altro esempio: dopo alcune scelte che ci porteranno a casa di Colin, lui ci offrirà della droga: «È una tua scelta, dipende solo da te». Se accettiamo, vivremo una piccola esperienza visionaria. Se rifiutiamo, Colin farà finta di rispettare la decisione ma metterà la droga nella nostra bevanda: di fatto, la volontà non è influente. Così procede la storia, e lo spettatore comincia a capire che non ha tutto il potere che gli è stato promesso.
Questa deviazione non influirebbe sulla bontà del risultato, anzi: se <i>Bandersnatch</i> fosse riuscito a creare un’occasione per riflettere sul libero arbitrio e i processi decisionali, avrebbe raggiunto un grande obiettivo. Il problema è che il messaggio, l’idea di controllo alla base del film, è fin troppo palese e lascia poco margine d’investigazione.
Colin prova a stuzzicare il nostro desiderio di onnipotenza e ci assicura che il viaggio è più importante della meta («Come un percorso finisce è irrilevante. È come le decisioni influiscono sul percorso che è importante»). Ma durante l’esperienza psichedelica, ad appena qualche scelta di distanza dall’inizio del percorso, è proprio lui a rilevarci il trucco. Al netto d’incongruenze strategiche e deliri complotticisti, il suo discorso si presenta come un manuale d’istruzioni.
<blockquote><p style="color:#999">Si pensa che ci sia una realtà ma ce ne sono tante, serpeggiano come radici. Quello che si fa su un percorso influenza quello che succede su un altro. Il tempo è un concetto. Si pensa che non si possa tornare indietro ma si può, ecco cosa sono i flashback: inviti a tornare indietro e fare scelte diverse. Prendi una decisione e credi che sia tu a farlo ma non è così, è lo spirito lì fuori connesso col nostro mondo che decide cosa facciamo e noi dobbiamo soltanto assecondarlo.</blockquote></p>
«Quante volte hai visto Pac man morire?»: Colin utilizza come metafora il famosissimo gioco degli anni Ottanta per dirci che non esiste una vera scelta; Pac man crede di essere libero ma passa la vita in un percorso stabilito da qualcun altro, inseguito per l’eternità dai suoi fantasmi. Anche quando crede di aver trovato un varco di fuga, è costretto di nuovo nel labirinto. «Pac man è un cazzo di incubo e la realtà è che noi ci viviamo dentro.»
Stefan può decidere di ascoltare i Thompson Twins o i Now 2, può raccontare la morte della madre alla psicoterapeuta oppure no, può decidere di gettarsi dal balcone della casa di Colin, oppure lasciare che sia lui a farlo, ma ogni scelta lo porterà ad alimentare la sua paranoia, la stessa di Jerome F. Davies, l’autore del libro <i>Bandersnatch</i>.
La storia principale è questa: durante la programmazione del gioco, Stefan (che ha perso la madre da bambino, a causa di un incidente ferroviario di cui incolpa il padre e se stesso) vivrà il disagio mentale di Davies, e il successo del gioco dipenderà dalla sua accondiscenza alla malattia. Davies era diventato vittima della sua creazione, sfinito dai tentativi fallimentari di completare le narrazioni multiple del libro e dall’idea claustrofobica che il libero arbitrio sia frutto di scelte condizionate. Spogliato di ogni responsabilità, in preda agli effetti degli allucinogeni, uccise sua moglie. Non è un caso che Stefan sarà costretto a decidere se commettere un omicidio: rifiutare è solo rimandare la decisione di un paio di bivi. Niente di troppo originale.
Come se la direzione non fosse abbastanza chiara, alcuni segmenti sono stati concepiti come atti di ribellione: la marionetta-Stefan non risponde ai nostri comandi e rivela alla psicoterapeuta che c’è qualcuno che controlla le sue azioni. Il percorso prosegue in un imbuto metanarrativo che si conclude con la domanda diretta: «Chi sei?». E qui il gioco poteva diventare interessante, peccato che le opzioni proposte non reggano le aspettative (possiamo scegliere di far comparire sul monitor del pc di Stefan tre simboli: il glifo dell’orso bianco che rappresenta il bivio, la scritta P.A.C.S. e il logo di Netflix): di fatto, tutte ci rispediscono nel nostro labirinto.
Quando l’idea di controllo travalica l’opera, l’autore ha fallito perché il destinatario, lettore o spettatore che sia, vede il rovescio del disegno in modo chiaro e non è stimolato a entrare nel mondo che gli viene presentato. Anche Stefan avvalora la tesi del percorso comandato: uno dei segmenti prevede che il gioco presenti un errore di sistema; qualche bivio più avanti, il programmatore si troverà a discutere col capo della Tuckesoft e dirà di aver capito qual era stato il suo errore: «Avevo concesso al personaggio troppe scelte.»
<i>Bandersnatch</i> è un esperimento riuscito a metà: è un prodotto interessante, innovativo nel suo genere. Funziona, e dalla varietà dei segmenti proposti è evidente che lo sforzo principale è stato moltiplicare gli scenari senza penalizzare la coerenza complessiva. In perfetto stile <i>Black Mirror</i>, il film è anche una celebrazione delle stagioni precedenti: nei vari video sono nascosti alcuni <i>easter eggs</i>, riferimenti a episodi passati; il simbolo dell’orso bianco viene da <i>White Bear</i>, il secondo episodio della seconda stagione. Tuttavia la narrazione non è abbastanza solida, non così valida da permettere al film di valicare il limite di un sano ma passeggero intrattenimento; obiettivo che non è meno dignitoso, e proprio della piattaforma per la quale è stato concepito, questo è certo. Ma da Charlie Brooker ci aspettavamo qualcosa in più.
<i>Bandersnatch</i> raccoglie l’influenza di diverse opere letterarie. Colin cita <i>Le porte della percezione di Huxley</i> all’inizio del film, e sulla parete di casa ha un poster con la scritta <i>Ubik</i>, chiaro riferimento al libro omonimo di Philip K. Dick.
<i>Ubik</i> è ambientato in un futuro in cui i precognitivi si occupano di spionaggio industriale, e alcuni laboratori permettono di tenere i corpi in uno stato di semi-vita. La citazione più famosa del romanzo è «Io sono vivo, voi siete morti» che testimonia la sovrapposizione di due linee temporali. La narrazione, infatti, si sviluppa su un percorso a due dimensioni che accoglie diversi punti di contatto. In una di queste realtà, la materia subisce un processo di decadimento regressivo e <i>Ubik</i> è l’unico in grado di arrestare il fenomeno: <i>Ubik</i> è bomboletta spray che permette ai personaggi di sottrarsi alla degenerazione, così da restare in vita. È, al tempo stesso, un prodotto sponsorizzato e il dio, indefinito e indefinibile, di quell’universo («Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. [...] Io sono e sarò in eterno»).
In uno dei segmenti di <i>Bandersnatch</i>, quando Stefan si rifiuta di obbedire ai nostri comandi, possiamo decidere di palesarci attraverso il simbolo di Netflix. Il percorso diventa obbligato e, paradossalmente, sul monitor del computer di Stefan si alternano queste scritte:
<font face="Courier new">I’m watching you on Netflix.
I make decision for you.
It’s like a TV, but online.
I controll it.</font>
Una contraddizione in termini, perché è evidente che siamo dentro una matrioska: non siamo più noi a decidere le sorti del gioco, non lo siamo mai stati.
<i>Bandersnatch</i> s’ispira a <i>Ubik</i> per la definizione di un <i>deus ex machina</i>, un’entità superiore che stabilisce le regole dell’avventura. A ciò aggiunge la chiave d’interpretazione nietzschiana del libero arbitrio, inteso come esperienza illusoria che include il singolo in un reticolato di concessioni forti e deboli, comunque limitate. L’inesistenza di una vera possibilità di scelta, connessa all’idea di un destino già segnato, diventa, nel film, un’attenuante per i crimini commessi dai protagonisti: «Non possiamo cambiare le cose e scegliere diversamente». E il cerchio si chiude, in uno schema fin troppo plastico, così lontano dagli spunti letterari di partenza.
È ancora Colin, il nostro Virgilio contemporaneo, a suggerirci perché <i>Bandersnatch</i> non può essere un capolavoro: «Quando un pezzo è concettuale è la follia ciò che serve».
[[Titoli di coda<-Vado ai titoli di coda]]<blockquote><p style="color:#999">La maggior parte degli uomini e delle donne conduce una vita, nella peggiore delle ipotesi così penosa, nella migliore così monotona, povera e limitata, che il desiderio di evadere, la smania di trascendere se stessi, sia pure per qualche momento, è, ed è stato sempre, uno dei principali bisogni dell’anima.
—Aldous Huxley, Le porte della percezione</blockquote></style>
Ho costruito lo schema di questa recensione basandomi sulla struttura della prima serie di scelte previste da <i>Bandersnatch</i>. Ti lascio l’elenco degli articoli che ho utilizzato per documentarmi.
<a href="https://www.wired.it/play/televisione/2019/01/03/bandersnatch-guida-mappa-finali/">Bandersnatch, la mappa per orientarti tra tutti i finali (Wired)</a>
<a href="https://www.rollingstone.it/tv/news-tv/charlie-brooker-black-mirror-nasce-dalle-mie-nevrosi-e-non-ha-limiti/397459/">Charlie Brooker: «Black Mirror nasce dalle mie nevrosi, e non ha limiti» (Rolling Stone)</a>
<a href="https://www.businessinsider.com/black-mirror-predictions-reality-2016-10?IR=T#nosedive-7">14 terrifying predictions from Black Mirror that could become reality (Business Insider)</a>
<a href="https://www.hollywoodreporter.com/live-feed/black-mirror-bandersnatch-charlie-brooker-talks-interactive-movie-1171496">Black Mirror’s Interactive Film: How to Navigate Bandersnatch (The Hollywood Reporter)</a>
<a href="https://www.theguardian.com/tv-and-radio/2018/dec/28/black-mirrors-bandersnatch-charlie-brookers-meta-masterpiece">Black Mirror’s Bandersnatch: Charlie Brooker’s meta masterpiece (The Guardian)</a>
<a href="https://www.nme.com/blogs/tv-blogs/easter-eggs-you-might-missed-black-mirror-bandersnatch-2425846">‘Black Mirror: Bandersnatch’: did you spot these Easter Eggs? (NME)</a>
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=l8rJ1WML60Y">The Time Machine: A Chad, Matt & Rob Interactive Adventure!</a>
<a href="https://www.youtube.com/watch?v=5KC0lcq6hSo">Bandersnatch e la filosofia di Riccardo Dal Ferro</a>
Io sono Maria Di Biase e mi diverto a creare contenuti inutili tipo questo che hai appena letto. Se l’articolo ti è piaciuto, puoi continuare a seguirmi sul mio <a href="https://www.scratchbook.net/">blog</a>.